Stefano Rolando ((Il 14 luglio 2012 si annuncia la decisione del Comune di Milano di avviare il Comitato Brand. Spunti dall’introduzione al seminario svolto alla presenza del Sindaco Giuliano Pisapia.))
Anche se il ‘900 ha generato una cultura del brand e del suo management fortemente attorno ai sistemi aziendali e alle dinamiche finanziarie (il “valore”), lo stesso ‘900 ha inciso (anche drammaticamente) sul rapporto tra nazioni e simboli. Costruendo un racconto che, dopo la seconda guerra mondiale e definitivamente dopo la caduta del muro di Berlino, ha fatto propendere per il fascino del brand legato al denaro (le imprese) più che per il brand legato ai valori storici (le nazioni e le città).
Ma con il terzo millennio e i grandi cambiamenti comunicativi tutto entra in un nuovo approccio. Da trattare con qualche avvertenza. In rete, nel sistema mediatico, nei vettori dell’immaginario collettivo, la rappresentazione non è scientifica, non è “giusta”, non è rispondente direttamente a volontà politiche ed economiche. Essa è complessa, conflittuale, parziale, frenata, pronta ad eccessi, a manipolazioni, a ridondanze. Vittima soprattutto degli stereotipi e dei pregiudizi. A volte frutto di tante casualità. Per fatti scappati a ogni presidio. Così – imperfetta – viene percepita da chi sa. E soprattutto da chi non sa. Ma immagina. Dentro il Brand di una città, di un territorio, di una nazione c’è dunque la ricomposizione sintetica, simbolica, conflittuale e selettiva di tutti i brand che – in sinergia o in conflitto – costituiscono il processo identitario della comunità coinvolta.
Nel contesto storico questa ricomposizione assume caratteri dominanti e icone che la rappresentano più diffusamente. E’ la percezione interna della comunità, a costruire questo processo, a esprimerlo e a cambiarlo incessantemente. Dunque un processo più di verità che di propaganda
Per meglio dire, il brand pubblico è un atto al tempo stesso virtuale e influenzabile perché generato da patti comunicativi che sono sempre influenzati da poteri. Ma anche veritiero e sostanziale perché esso è la rappresentazione selettiva dell’identità collettiva in uno scacchiere che muta.
Nel suo comun denominatore si colloca una maggioranza di sentimenti identitari.
Ma molte minoranze esistono e tengono in tensione l’equilibrio.
Dunque come uno specchio un po’ deformante anche il brand riflette all’esterno e proietta una condizione identitaria. Che viene letta, percepita, con frammentarietà e occasionalità.A brandelli.
Questa percezione genera immagine, reputazione. Costruita in forma spesso lenta rispetto all’evolvere della realtà,In condizioni di scarsa conoscenza reale.
Comunque in forma influenzata dai media, dall’arte, dallo spettacolo, dal commercio. Per i più è appunto solo immaginazione. Ma l’immaginazione è la condizione strutturale del desiderio.Dunque è per definizione una condizione economica importantissima. L’attrattività lo strumento essenziale per caratterizzare un territorio come sistema competitivo
Il conflitto no logo/ pro logo trova oggi in questo ambito tre forme di composizioni:
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nel carattere “non proprietario” del branding pubblico
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nel carattere di “libera fruizione” della rete
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nel valore dei diritti individuali e collettivi che il branding pubblico propone.
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