Stefano Rolando ((Linkiesta , 3 maggio 2013))
La Repubblica (Milano) ha dedicato il 30 aprile tre pagine al rapporto tra Expo, nuovo quadro di governo e questioni di marcia (tempi, risorse, obiettivi, contenuti, eccetera). L’apertura del dorso, facendo forte eco alle parole del premier, è stata “L’Expo-entusiamo di Letta”.
Poi, all’interno, Franco Vanni ha dedicato una pagina alle luci ma soprattutto a quelle che considera “le ombre” dell’immagine della città. “Milano snobbata all’estero, restano settecento giorni per l’operazione immagine”. L’occhiello: “Calo nelle classifiche internazionali. Si salva solo la moda”.
Vanni era venuto a trovarmi in università qualche mese fa, quando il Comitato Brand Milano – che mi è stato affidato – lanciava le sue proposte. Poi l’articolo non è uscito. E in occasione di questa attenzione del quotidiano per l’apertura del premier in materia di Expo, il “bilanciamento” (di rigore nei media d’opinione) tra lodi e strepiti ha fatto qui un po’ la sintesi delle cose che non sono ancora a fuoco. L’aggiornamento del profilo di immagine e anche la messa a punto del progetto di racconto della città.
Questi obiettivi si curano – in occasioni analoghe nel mondo – per tempo e con strumnenti adeguati. Soprattutto gestiti con criteri ponderati e originali. Senza copia e incolla dai manuali, ma lavorando su dati veri della ricaptolazione identitaria (interno) e di immagine (esterno) della città.
E analizzando a fondo il sistema di mediatizzazione e di relazionamento culturale (racconto) che oggi, in forme complesse, la città produce.
Non faccio qui la chiosa agli aspetti di preoccupazione (si dice nell’articolo che il programma è ancora fermo per mancanze di risorse, anche se poche risorse, ma indispensabili) perchè non sta a me usare la stampa per sollecitare cose che passano da forme istituzionali di dialogo con l’Amministrazione. Che ha tutte le migliori intenzioni, ma che è stata finora zavorrata da profonda crisi di bilancio. Credo che si risolveranno le cose.
Approfitto invece di questo spazio di comunicazione per ripetere ancora una volta a chi ha pazienza di leggermi che nella gestione del patrimonio simbolico di una città non è racchiusa una competenza culturale fine a se stessa. O che si intende stendere semplicemente un po’ di cipria sul volto della città. O peggio ancora che tutto si traduce in spese (magari inutili) di ritocchi grafici al logo.
Branding pubblico è oggi, nel mondo, un modo di intervenire con adeguata ricognizione attorno ad una questione serissima dello sviluppo, della ripresa economica e dell’occupazione. Quindi un modo per agire sulla leva essenziale di far tornare gli investimenti. E gli investimeni “tornano” quando c’è qualcuno che è intenzionato a farli trornare e soprattutto quando il territorio che attende questi investimenti fa di tutto e al meglio per mostrare la sua attrattività.
Il lavoro centrale è dunque attorno a questo tema: l’attrattività.
Qui si giocano partite essenziali. E se non si fanno i passi giusti nella messa a punto di un serio discorso sull’attrattività di una città, di una regione, di un paese, si rischia poi di produrre comunicazione streotipata, basata su ripetitività e stereotipi. Cose che i decisori in campo finanziario, industriale, promozionale – che devono mettere soldi e progetti a ragion veduta – avvertono al volo come “propaganda”. Marginalizzando così risorse spese inutilmente in comunicazione.
Il punto di “verità” – l’ho detto tante volte e lo sottolineo ancora – di una corretta operazione di branding pubblico è dunque essenziale. Da qui l’importanza di un comitato indipendente che tenga conto delle molte voci che una città esprime per raccontarsi e che chiedono una corretta sintesi. E l’importanza di dotarsi di informazioni corrette attorno al tema identità/immagine e attorno al reale set competitivo della città su questa materia. E’ la bussola dell’attrattività che regola turismo, investimenti, shopping, progettazione, flussi di lavoro e di idee, apprezzamento per abitanti e prodotti, curiosità per il patrimonio e le tradizioni. Insomma il setting in cui l’Expo matura e a poco poco diventa soggetto parlante. Ai milanesi, agli italiani, al mondo intero.
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