Intervista a Stefano Rolando, a cura di Grazia De Benedetti ((Realizzata il 15 giugno 2014 per DM&C, Direct Marketing e Comunicazione d’Impresa))
Come intendete sviluppare la comunicazione sull’identità di Milano, in questo anno dell’Expo e se la grande manifestazione del 2015 non rischia di schiacciare il brand della città solo sul grande evento.
Abbiamo concepito il lavoro del Comitato Brand Milano (tredici operatori rappresentativi di professioni, istituzioni, discipline che intersecano il tema del patrimonio simbolico della città, tutti – me compreso – con impegno volontario e pro-bono) avendo Expo come traino oggettivo (il tema del racconto cambiato della città con cui investire l’evento) ma anche guardando a più lunga prospettiva. Il “brand” è sintesi del patrimonio simbolico, quindi coglie cicli piuttosto lunghi. Ho provato in un recente articolo a individuare almeno sette racconti cambiati – nella sostanza – da Milano e su Milano dall’Expo del 1906 a oggi. Ed è evidente che un evento che apre una lunga finestra internazionale spinge a revisionare e cogliere – se c’è – il nuovo ciclo. Se non si sbaglia clamorosamente individuando i nuovi caratteri ciò dovrebbe avere senso anche dopo Expo.
Ho assistito alla conferenza stampa di “Il teatro scende in piazza”, che ho seguito poi con interesse e ho trovato molto vario e simpatico, ma mi è dispiaciuto constatare che i media (ad es. il TG Regionale) gli hanno dato poco e tardivo risalto. Un suo commento?
Per dire la verità in tutta questa esperienza il rapporto con i media – quelli di opinione pubblica diffusa – è stato difficile. Ciò è dovuto al fatto che – soprattutto i quotidiani , i tg e i gr – fanno il loro mestiere quando stanno sulla notizia, ma non sono molto capaci di stare sui “processi”, cioè sul racconto dei cambiamenti e le trasformazioni. Pretendono la notizia. E nel sistema mediatico per “notizia” si intende spesso la formula un po’ perversa del giornalismo: “bad news is news” . Nel nostro caso hanno cercato di capire se il frutto del lavoro fosse il cambio del logo della città. E quello hanno testardamente cercato. Anche se si è spiegato all’infinito che non era quello lo scopo, che lo storytelling di una città è cosa più complessa e argomentata (urbanistica, musei, spazi culturali, décor, eccetera, oltre ovviamente alla comunicazione) il risultato è stato di scrivere su marginalità e non raccontare alcune cose belle che bastava solo descriverle. Pensi che nessun giornale è riuscito da dire cosa conteneva la piccola ma densa mostra in triennale (aperta il 7 aprile e chiusa il 2 giugno) sul patrimonio simbolico di Milano. Lo ha fatto Fabio Pizzul con un video di cinque minuti che è in rete per spiegarlo ai ragazzi. Efficacissimo. Ma – nella logica dei media – questa è una “non notizia”.
Sul logo dell’Expo ho sentito diversi pareri non molto favorevoli. Può dirmi da chi è stato commissionato e cosa pensa del fatto che si sia preferita la Disney,al marketing intelligente e creativo italiano?
Non so, noi non lavoriamo dentro il perimetro “aziendale” di Expo. Immagino che abbiano cercato un comun denominatore per comunicare con il pubblico giovane del mondo e – senza voler fare troppi sforzi creativi – Disney è quel comun denominatore. In generale se Expo fosse stato meno attraversato da liti, polemiche, risse, guai giudiziari (che segnalano un eccesso di invasione degli interessi politici spesso legati a interessi tout court nel profilo genetico di Expo, che andava fin dall’inizio affrancato da questi rischi con un fortissimo ancoraggio tecnico-professionale anche in questi ambiti ) molti aspetti di contenuto, di stile, di progetto narrativo sarebbero già evoluti: metodo, team, sperimentazione, prodotti. Confido nel colpo di reni della fase finale. Gli italiani hanno nell’emergenza una loro cifra di riscatto.
Quali principali sviluppi avrà in seguito Il Brand Milano?
Dipende dal dialogo e dal negoziato che potrà esserci tra i soggetti istituzionali e gli stakeholders. Per ora è un dialogo stentato. Anche perché i media non sono riusciti finora a farlo fluidificare. Ma è possibile che esso migliori. Questo è lo scopo vero: migliorare il dibattito pubblico sulla materia e produrre nuove percezioni identitarie interne, capace di generare una immagine della città più conforme alla sua mission sempre pendolare tra tradizione e competitività.
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