Fiorenzo Tagliabue
Presidente Gruppo SEC
Nel dibattito avviatosi sul Corriere in merito al brand di Milano si è parlato di patrimonio simbolico della città e dei suoi valori identitari. Per questo mi sento chiamato in causa come cittadino, prima ancora che come comunicatore. Le tre parole che mi vengono in mente pensando a Milano sono lavoro, cultura, accoglienza. Tre parole che affondano le loro radici nella Milano romana e cristiana, con tutta la ricchezza di frutti che nel corso della storia queste importanti radici hanno generato, fino alla moderna percezione della città. Proprio grazie a questi frutti straordinari, quante città ci sono dentro Milano? La città della moda e del design, della Borsa e degli affari, della comunicazione e della tecnologia, delle eccellenze sanitarie e della ricerca biomedica, del Politecnico e della Bocconi, della Bicocca e dell’Accademia della Scala. Ma c’è anche la città della solidarietà e dell’integrazione, dei milanesi di nascita e di quelli di adozione, dei fruttivendoli pugliesi e dei nuovi lavoratori e studenti cinesi, filippini, maghrebini, moldavi, rumeni… La città del Broletto e di Sant’Ambrogio, della Caritas e di Gino Strada, di san Carlo e della cattedra dei non credenti di Martini, di don Gnocchi e di Veronesi, di don Giussani e di Indro Montanelli.E poi la cultura: quanti sono i grandi che hanno solcato le nostre strade, abitato le nostre case e felicemente contaminato il nostro modo di pensare con la bellezza delle loro opere e la profondità del loro pensiero? Naturale pensare a Leonardo come pure a Manzoni e Verdi, ma l’elenco sarebbe lunghissimo, anche attestandosi ai soli numeri 1. Perché Milano è sempre stata avanguardia e crogiuolo di creatività e sperimentazioni, individualità e movimenti che hanno influenzato l’Italia e il mondo intero. Non a caso è la città dell’architettura: da quella anonima delle basiliche romane e romaniche ai Bramante, Filarete, Cagnola, Piermarini, Maciachini, Muzio, Gio Ponti, Portaluppi, fino alle archistar dei nuovi luoghi del nostro presente.
Come raccontare tutto questo in un simbolo? E come restringerlo dentro le tre dimensioni di tradizione storico-artistica, competitività del sistema produttivo, glamour che sono state richiamate sulle colonne del Corriere? Davvero Milano è tutta qui? Forse sarebbe meglio guardare alle radici che tutto alimentano e generano. E ascoltare la voce del cuore che immediatamente associa a Milano un’immagine tanto antica quanto futura, tanto colta quanto popolare, tanto religiosa quanto laica: il suo Duomo. Sotto le sue navate i milanesi si sono raccolti sempre nelle ore del dolore e in quelle della gioia e sul suo sagrato, oggi come un tempo, si danno appuntamento cittadini e immigrati, turisti e innamorati, poveri e ricchi. Alle sue guglie ha guardato César Pelli disegnando lo Spire del grattacielo a Porta Nuova, alle sue guglie guardiamo tutti quando da un terrazzo o un belvedere osserviamo dall’alto quella città in cui viviamo immersi e frettolosi. Nel suo marmo scorre la vena di Milano, che si è fabbricata il suo Duomo secolo dopo secolo con i soldi dei mercanti e delle prostitute, dei signori e dei domestici. È una vena vitale, un’arteria, da non rescindere mai.
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